Ferdinand Dutert
Le palais de Machine est un veritable Temple élevé en l’Honeur de la métallurgie et de l’architecture modernes […] nous sommes à l’aurore d’un autre âge industriel.
La Galerie des Machines e l’Esposizione Universale di Parigi del 1889
Francesca Rognoni
“Le palais de Machine est un veritable Temple élevé en l’Honeur de la métallurgie et de l’architecture modernes […] nous sommes à l’aurore d’un autre âge industriel” (1). Con queste entustiache parole, il giornalista e divulgatore scientifico Henri de Parville, nel 1890, presentava ai propri lettori la Galerie des Machines.
Il grandioso padiglione in ferro e vetro era stato progettato dall’architetto francese Ferdinand Dutert in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889 e, insieme alla Tour Ei0el, era stato il simbolo e la principale attrazione dell’expo parigina. Destinato ad accogliere la mostra dei più moderni macchinari dell’industria nazionale, per la spettacolarità delle sue strutture divenne inoltre, esso stesso, emblema del progresso tecnologico nazionale.
Si trattava di un edificio senza precedenti: un colossale fabbricato a tre navate, lungo 421 metri e largo 145 metri, che accoglieva al proprio interno il più grande spazio espositivo mai realizzato (quasi 70,000 metri quadri di superficie commerciale) e la più ampia struttura architettonica a campate in ferro mai costruita. Gli archi della nave maggiore, in particolare, con una luce di 110.6 metri all’interasse, oltrepassavano di oltre il 30% l’ampiezza delle arcate a traliccio della britannica stazione di Saint Pancras (1868), rimasta insuperata sino a quel momento.
La costruzione della Galerie – costata, 7.5 milioni di franchi (circa un quinto del budget totale dell’Esposizione) – rappresentò un successo tecnico e politico,
allo stesso tempo. Imponendosi come unicum nel panorama architettonico internazionale, le maestose strutture del padiglione portavano infatti a compimento il programma politico dell’Esposizione che, organizzata nella ricorrenza del centenario della Rivoluzione (1789-1889), intendeva a0ermare la superiorità economica e culturale della Repubblica, mettendone in mostra l’eccellenza tecnologica e il progresso industriale.
Ne dà chiara testimonianza un editoriale apparso sul primo numero della rivista «Les Chantiers de l’Exposition Universelle», nel quale si legge: “mentre all’estero studiavano la perfezione di nuovi cannoni, nuovi siluri, nuove fortezze corazzate, gli ingegneri e gli architetti francesi tracciarono le linee dei palazzi delle esposizioni internazionali e prepararono i progetti per la Galerie des Machines, incomparabile navata che sarà il trionfo della moderna industria metallurgica […] L’exposition est la Paix! Lo ripetiamo, questo è ciò che tutti devono ripetere e devono capire” (2).
La Galerie era ubicata nel settore meridionale del Champ de Mars, davanti all’École Militaire, e con la sua mole disegnava il monumentale fondale prospettico della Tour Ei0el e dell’intera area espositiva. Il padiglione si componeva di due lunghe gallerie laterali a due piani e di una maestosa navata centrale (la grand nef). Quest’ultima – come accennato – era il fiore all’occhiello della struttura: un immenso ambiente a tutta altezza di oltre 48,400 metri quadri, scandito da colossali archi in ferro a tre cerniere e concluso da uno spettacolare tetto in vetro. Le gallerie, avevano invece coperture in lamiera metallica a profilo mistilineo, solai con travature di ferro e murature in laterizio, entro cui trovavano posto grandi finestre ad arco.
I prospetti est e ovest riprendevano il profilo arcuato della nave maggiore
ed erano costituiti da grandi pareti vetrate, tenute insieme da possenti montanti verticali, fissati all’arco di facciata e collegati ad un sistema di travetti orizzontali
e verticali, coronato alla sommità da una teoria di archetti pensili. Il fronte occidentale, era inoltre completato da due torrette reticolari (alte 35 metri ciascuna) che ospitavano il corpo scala e un moderno ascensore.
Le testate delle gallerie erano invece leggermente arretrate rispetto ai prospetti della navata, ma presentavano, all’altezza dei solai, un fregio decorato che continuando lungo tutti i volumi ne raccordava visivamente le parti.
La decorazione degli ambienti e delle facciate – ad eccezione di quella orientale, lasciata intenzionalmente nuda per mettere in mostra la struttura – era ricchissima: i so0tti delle gallerie erano rifiniti con stucchi, i vetri delle finestre delle navi minori erano bordati di verde, le superfici interne erano rivestite in legno zincato e mattonelle di cotto colorato; le pareti in vetro del vestibolo erano dipinte con allegorie del lavoro e riproduzioni dei prodotti industriali, mentre grandi stemmi recanti le insegne dei paesi partecipanti ornavano il prospetto est. Qui due colossali gruppi scultorei, con le personificazioni del vapore e dell’elettricità, fiancheggiavano il portale principale e al centro della facciata grandi lettere in ceramica policroma componevano la scritta “Palais des Machines”.
Anche gli allestimenti e le dotazioni tecnologiche concorrevano alla suggestività dell’edificio. Nella navata centrale, ad esempio, grandi lampioni alimentati elettricamente – i primi mai impiegati in uno spazio espositivo – illuminavano i macchinari industriali in mostra che, a loro volta, potevano essere messi in funzione grazie a un complesso sistema di condutture idrauliche sotterranee, generatori di vapore esterni, motori elettrici ed alberi motore fissati alla struttura. L’esperienza all’interno del padiglione era inoltre resa spettacolare dalla presenza di innovativi sistemi meccanizzati, quali il moderno ascensore d’ingresso, i due piccoli ascensori interni (che portavano al piano superiore delle gallerie) e, soprattutto, la grande piattaforma mobile che, correndo su binari sospesi, permetteva di vedere dall’alto tutta l’esposizione.
Dopo l’Expo du 1889, la Galerie venne utilizzata per la Fiera Internazionale
del 1900, in occasione della quale al centro della grand nef si costruì una colossale rotonda – la Sale de Fete – che alterò profondamente l’equilibrio formale e strutturale dell’edificio. Negli anni successivi, il padiglione fu utilizzato solo sporadicamente per manifestazioni ludiche e sportive, finché nel 1910, ne venne decretata la demolizione, non senza polemiche e rammarico.
“Movements de Chantiers”: la Costruzione
Secondo quanto risulta dalle fonti dell’epoca, Dutert curò la realizzazione della Galerie in ogni suo aspetto, dal progetto generale sino alla messa in opera delle strutture e degli elementi decorativi.
Lo a0ancarono, nella progettazione e nella conduzione del cantiere, gli architetti Blavette, Deglane ed Henard (rispettivamente, capo ispettore ai lavori, secondo ispettore e primo ispettore secondario) e gli ingegneri nominati dall’organizzazione: Charton, Pierron e Contamin.
Victor Contamin, in particolare, si occupò del dimensionamento delle strutture, della verifica delle fondazioni e della supervisione delle attività di montaggio delle travi e degli altri elementi metallici. È inoltre probabile che egli abbia contribuito anche all’ideazione dei grandi archi incernierati della nave maggiore che, come dimostrano le tre diverse proposte presentate da Dutert fra il 1885 ed il 1887, erano stati il nodo più problematico del progetto.
Il cantiere della Galerie des Machines si aprì nel maggio 1887 e si concluse due anni dopo, nel maggio del 1889.
L’intera vicenda venne seguita con attenzione dai media nazionali che
diedero conto, a cadenza regolare, dello svolgersi del cantiere e delle procedure amministrative messe in atto (bandi, gare d’appalto, etc). Secondo quanto risulta dalle fonti, nel cantiere furono coinvolte decine di imprese e di artigiani e i lavori furono lunghi, costosi e complessi, ma, nell’insieme, l’opera venne portata avanti con incredibile rapidità e perizia.
I lavori iniziarono con lo sbancamento dell’area del Champ de Mars, che richiese circa due mesi; quindi, sotto la guida del capomastro Manoury e con la supervisione di Contamin, si diede avvio allo scavo delle fondazioni. Fra settembre e ottobre furono gettate le fondamenta, posizionati i pali nelle fondazioni e fissate le basi d’ancoraggio degli archi. A novembre l’impresa Murat cominciò a costruire le navi minori e nel frattempo venne bandita la gara d’appalto per la produzione delle parti metalliche della struttura. Per la nave maggiore risultarono vincitrici le imprese Fives-Lille e MM. Cail et Cie, le quali, dopo aver prodotto in fabbrica le componenti iniziarono la messa in opera degli archi nel febbraio 1888. Per accelerare i tempi le due imprese lavorarono contemporaneamente, adottando però sistemi di costruzione diversi: nel cantiere di Five-Lille gli archi vennero assemblati a terra in quattro grandi tronconi e poi sollevati con l’aiuto di gru e rivettati fra loro da operai posizionati su un’alta impalcatura centrale e due basse piattaforme laterali; nel cantiere Cail, invece, le arcate furono assemblate direttamente in opera, grazie ad un’impalcatura mobile formata da cinque torri di diversa altezza, collegate fra loro da passerelle.
Nel mese di settembre del 1888, la costruzione della grand nef e delle gallerie si concluse. Seguirono i lavori per la realizzazione dei rivestimenti in vetro, delle decorazioni e degli allestimenti. Nel maggio 1889, come si è accennato, il Palais des Machines aprì le porte ai visitatori di tutto il mondo.
Struttura: la Grand Nef
Nella letteratura specialista c’è stata (ed in parte persiste) una certa confusione a proposito delle dimensioni e delle caratteristiche tecniche e materiali del Palais des Machines. Tale confusione si deve principalmente alle fonti ottocentesche che, pubblicate nell’imminenza dell’esposizione, non sempre recepirono informazioni complete e corrette. Partendo dalle fonti più puntuali e dettagliate tra quelle a disposizione è tuttavia possibile ricostruire con precisione la struttura del padiglione e della grand nef.
L’edificio misurava, nel suo complesso, 421 x 145 metri e, nel punto più alto, raggiungeva i 47 metri di altezza. La nave maggiore aveva un’ampiezza di circa 115 metri e le gallerie laterali misuravano 15 x 421 metri ciascuna. Gli spazi della navata e delle gallerie erano suddivisi in 19 campate. Ognuna di esse misurava 21,5 metri, ad eccezione di quella centrale e delle due finali (verso est ed ovest), leggermente più grandi (rispettivamente 26,3 metri e 25,35 metri). Gli archi della nave maggiore erano alti 46,7 metri alla sommità dell’estradosso e avevano – come si è detto – una luce 110,6 metri all’interasse.
Ogni arcata era formata da due semi-archi, uniti al vertice da una cerniera con elemento di fissaggio cilindrico. Analoghe cerniere, fissate a grandi piastre metalliche, erano poste alla base degli archi e collegavano la struttura alle fondazioni. Queste ultime erano costituite da pilastri interrati in muratura, di circa 3.5 x 7 metri, poggianti su uno zoccolo in cemento Portland, il cui spessore (minimo 20 centimetri) variava a seconda delle condizioni del terreno. Dove il sottosuolo era particolarmente sabbioso, le fondazioni erano inoltre posizionate su palificazioni in legno, lunghe fino a 9 metri.
Ciascun semi-arco era formato da due correnti esterni e da una struttura reticolare interna, con montanti e diagonali, suddivisa in 24 riquadri alternati (piccoli e grandi). I correnti erano costituiti da travi in ferro con profilo a doppio T dello spessore di circa 76 centimetri, ingrossate mediante lastre metalliche in corrispondenza delle curvature. La struttura reticolare era invece ottenuta combinando e rivettando piastre di ferro, travetti a T ed elementi angolari.
Spostandosi dalla base dell’arco verso il centro, la distanza fra i correnti diminuiva di circa 1 metro ed anche l’ampiezza dei riquadri minori della reticolare si riduceva progressivamente. I pannelli che accoglievano le cerniere presentavano un telaio rinforzato: quelli al centro dell’arco avevano diagonali costituite da elementi sagomati a doppio T, irrigiditi mediante piastre e ferri secondari; mentre quelli alla base erano formati da due grosse piastre triangolari, a sezione piatta, rinforzate
al centro e rivettate fra loro in modo da formare un unico grande elemento triangolare, con il vertice rivolto verso il basso.
Gli archi erano raccordati alla struttura delle gallerie mediante pennacchi in ferro, costruiti anch’essi con correnti a doppio T ed elementi reticolari. Contribuivano alla stabilità della nave maggiore anche i solai delle gallerie, le cui travature in ferro erano fissate alle reni degli archi.
La grand nef era completata, nella parte superiore, da un sistema a tre livelli che collegava fra loro le arcate e sosteneva il manto di copertura. Tale sistema era composto da lunghe travi reticolari, travetti ad H e barre in ferro sagomate. Le travi reticolari erano disposte longitudinalmente, a distanza di 10,7 metri l’una dall’altra ed erano fissate al telaio delle arcate, in corrispondenza dei riquadri minori. Sopra queste, ogni 5,3 metri, erano posizionati (in orizzontale) i travetti ad H che, a loro volta, sostenevano le barre sagomate, su cui erano sistemate le lastre di vetro della copertura.
Ogni arcata generava un carico verticale di circa 412 tonnellate e spinte orizzontali di circa 115 tonnellate. A garantire la resistenza della struttura erano soprattutto le fondazioni, progettate per sobbarcarsi, da sole, l’intero onere di carico degli archi. Queste ultime – come si è visto – erano dimensionate e articolate diversamente, a seconda delle caratteristiche del terreno. Tale procedimento costruttivo – quasi sartoriale – permetteva di gestire e0cacemente i carichi ed anche di limitare e controllare con precisione i movimenti di0erenziali generati dalle disomogeneità del sottosuolo. Fondamentale, a questo proposito, risultava anche la scelta di impiegare archi a tre cerniere. Questo tipo di struttura infatti – oltre a consentire la copertura di grandi luci, senza l’aiuto di supporti intermedi – permetteva anche di regolare la conformazione degli archi e di calibrare la durezza dei cardini, in rapporto agli specifici sforzi cui erano sottoposti.
Una caratteristica, quest’ultima, che si rivelava particolarmente utile anche in relazione al problema della dilatazione termica. Le cerniere, infatti, permettevano alla struttura del Palais des Machines di sopportare, senza di0coltà, variazioni termiche comprese fra i -15 e i + 35 gradi. Contribuivano a limitare le deformazioni termiche (espansioni e contrazioni) anche i travetti ad H della copertura che, a questo scopo, erano fissati alle membrature degli archi mediante bielle, posizionate ogni 64 metri.
La stabilità orizzontale della struttura era invece garantita dal collegamento degli archi con i solai delle gallerie e, soprattutto, dalla connessione fra il telaio delle arcate e il sistema di travi reticolari che sosteneva la copertura. Le murature delle gallerie fungevano, infine, da contra0orte ed elemento di supporto all’intero sistema.
La geometria delle arcate (profilo pseudo-tudor) e la conformazione delle basi d’arco (decisamente rastremate verso il basso), non rispondevano invece ad alcuna esigenza di tipo tecnico-statico. Al contrario, esse complicarono in parte la gestione del progetto. Il fatto che la forma degli archi non seguisse l’anti-funicolare, aveva reso, ad esempio, più complesso il calcolo e la gestione dei carichi, mentre la fisionomia delle basi era stata a lungo avversata dal comitato organizzatore,
che guardava con di0denza alla scelta di non nascondere entro un basamento monumentale le cerniere e le piastre triangolari a cui erano collegate. Si temeva, in particolare, che la struttura non sarebbe apparsa “abbastanza solida”, dal momento che la forma delle basi non rispettava la tettonica classica, che avrebbe voluto il basamento più ampio rispetto a quanto gli stava sopra. Dutert fu per questo costretto a presentare anche un disegno alternativo, nel quale le basi erano nascoste entro grandi elementi in pietra ma, alla fine, la proposta originaria ebbe la meglio.
Queste scelte progettuali dimostrano come, nel progetto della Galerie des Machines l’architetto ed i suoi collaboratori abbiano scelto, intenzionalmente, di portare la struttura al massimo delle potenzialità tecniche e formali, mettendo proficuamente in dialogo innovazione tecnologica, ricerca formale e esigenze strutturali.
Resta, a questo punto, da chiarire la questione del materiale. Stando alle fonti dell’epoca, il metallo scelto, inizialmente, per la struttura del padiglione era l’acciaio, tuttavia gli studi più approfonditi e documentati hanno dimostrato che, per ragioni
di economicità e di maggior dimestichezza nella lavorazione, i progettisti alla fine optarono per il ferro. Nella telaio del Palais de Machines infatti, vennero utilizzati 270.000 kg di ghisa, 154.000 kg di acciaio, 18.000 kg di piombo e ben 123.000 mila quintali di ferro.
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Architect:
Charles Louis Ferdinand Dutert (1845-1906)
Name of the building:
Galerie des Machines / Palais des Machines
Site:
Paris (France)
Client:
French Government; City of Paris;
Private stakeholders (A. Christophle and others)
Contractors:
Building contractors Monsieur Manoury, Monsieur Murat and Monsieur Grouselle (stonework and foundations);
Monsieur Poirier (foundations and piling);
Five-Lille, Cail (structure and construction, main nave arches);
Société d’Ivry, Société de Saint-Denis;
Moissant et Cie.;
Robillard (structure and construction, galleries);
Saint Gobain (glazed roofing)
Engineer:
Victor Contamin (1840-1893)
Other actors:
Victor Blavette (first working site inspector);
Henry Deglane (second working site inspector);
Eugène Hénard (secondary inspector);
Jules-Jean Charton (engineering staff);
Eugène Vincent Pierron (engineering staff)
Decorations:
J. Martin (modeller);
P. Chaperon, A. A. Rubè, M. Jambon;
C. F. Champingneulle;
V. Lorin;
C. Crauk (pictorial decorations and stained glass windows);
E. Barrias – H. Chapu;
A. A. Cordonnier;
F. C.Barthélémy (sculptors);
Atelier Mortreux (ceramists)
Building permit:
1885-1886 (design competition and General Exhibition Plan)
Start of construction works:
1887
Project variations:
1886-1887. Hypothesis for the design of a stone cladding for the arch bases (the variation was requested by the organising committee but was not implemented)
End of construction works:
1889. Conclusion of construction works;
1910. Dismantling
Prizes:
1889. Prix d’Osiris (awarded by the Comite de la Presse)
Construction system:
Main struture consisting of eighteen great three-pinned metal arches, sitting on stone foundations and surrounded by external galleries. Two iron-vaulted vestibules on the long sides of the building.